Il Linificio canapificio nazionale sorge nel 1907 ai margini del centro storico, vicino alla ferrovia, da cui e delimitato a nord. La città si è estesa da pochi anni oltre i confini delle antiche mura, dapprima mediante la costruzione di viale Dante, un asse rettilineo che congiunge la stazione, edificata nel 1860, al centro storico; poi, negli anni in cui nasce il linificio stesso, mediante l’apertura delle antiche porte in seguito all’abolizione delle barriere doganali (1911). La zona esterna, adiacente all’antico tracciato, diviene dunque particolarmente adatta alla costruzione di opifici e industrie, dando il via alla edificazione di quartieri periferici ben distinti dall’area privilegiata del centro, in cui trovano consacrazione i simboli del nuovo potere.
L’architettura del linificio si inserisce nel contesto di quella definizione della struttura edilizia della fabbrica che in Italia si va delineando a partire dagli anni settanta dell’Ottocento, quando si comincia a rivolgere l’attenzione ai modelli architettonici d’oltralpe. Ritroviamo quindi in esso il modello edilizio detto a Sheed, costituito cioè da una sequenza di lunghi capannoni ad un solo piano (le sale di lavorazione presentano in realtà il piano seminterrato), illuminati da lucernari. Il materiale costruttivo e ancora primariamente il cotto, secondo la più antica tradizione locale, ma ad esso si va affiancando il materiale in serie: vengono infatti introdotti i sostegni in ghisa, le travi in ferro, il vetro e il cemento armato.La fabbrica non è pero solo luogo della produzione, ma entra a far parte della vita di tutti coloro che vi lavorano, dal direttore all’ultimo degli operai, che in essa investono la maggior parte del tempo e delle energie della loro giornata e della vita stessa. | |
Tale visione e ancora retaggio della concezione utopistica ottocentesca (in paesi come l’Inghilterra e la Francia essa risale addirittura all’Illuminismo) secondo la quale gli interessi di ordine economico e la massima produttività sono ben conciliabili con il benessere del lavoratore e la filantropia del padrone. Il caso di Crespi d’Adda è in Lombardia l’esempio più significativo: un intero villaggio, dalle case degli operai ai luoghi dello svago, della cultura e della fede, e pensato in funzione del lavoro. Nel linificio di Lodi, nato in seguito all’incremento ed espansione della produzione tessile, tale concezione e sicuramente più moderata, ma il rapporto tra il lavoro e la vita e ancora leggibile dall’analisi del monumento e dal la testimonianza viva di chi vi ha lavorato. | |
L’ingresso nella fabbrica, l’inizio del lavoro, la pausa pranzo nella mensa interna, la ripresa pomeridiana dell’attività e la sua conclusione (che nei primi tempi avveniva a sera), costantemente intervallati dal suono monotono ma rassicurante della sirena, scandivano la giornata in modo quasi rituale. Appena fuori, vicino al sottopasso di viale Pavia, era un campo di bocce e un luogo di ritrovo per il tempo libero; il direttore e il vicedirettore abitavano in case di proprietà della società nei pressi della fabbrica, a indicare che qui lo stacco dal lavoro non poteva mai essere totale. Segno ulteriore dell’aspirazione ad una specie di autarchia, alla definizione di un mondo chiuso in stesso, in grado di soddisfare ogni bisogno, e anche la presenza nell’organico del personale di una commissione interna a tutela dei dipendenti, di un corpo di venti vigili del fuoco, e di un medico che visitava settimanalmente a turno gli operai.
Rilevante è infine, anche se non ultima in ordine di importanza, l’attenzione prestata all’aspetto formale ed estetico di un edificio concepito per uno scopo produttivo e funzionale: la struttura è essenziale ma elegante, ed è nobilitata da motivi decorativi attinti dal repertorio dell’architettura “in stile”. Il gusto neoromanico è visibile soprattutto nella soluzione del laterizio e degli archetti ciechi pensili della ciminiera, mentre una sobria decorazione Liberty anima capitelli e modanature. Tutto ciò concorre a trasmettere un’idea positiva della fabbrica e del lavoro che in essa si svolge. prof.ssa Elena Granata
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Il lavoro di ricerca sull’ex linificio-canapificio di Lodi svolto dalle alunne e dagli alunni del Liceo Artistico nell’ambito del progetto Un Monumento daadottare, è giunto al termine della sua elaborazione durata tre anni (1997-2000), durante i quali si sono realizzati, tra l’altro, un opuscolo illustrativo, un CD Rom e un convegno. Il lavoro è stato coordinato dalla prof.ssa Elena Granata e promosso dal Comune di Lodi, la Fondazione Pégase e dalla Direzione Generale Cultura della Regione Lombardia. |